Figlio di una giovane anatra e del ratto che la violentò

È l’origine dell’Ornitorinco secondo una leggenda aborigena. Lo zoologo Shaw, quando nel 1799 ne vide un esemplare impagliato, pensò a uno scherzo.

Per noi l’Ornitorinco è una specie lontana nel tempo e nello spazio.
Nel tempo perché è un mammifero ancestrale, nello spazio perché abita dall’altra parte del globo.
Eppure, chiunque abbia un minimo di curiosità in campo naturalistico, ne rimane affascinato. Del resto questo mammifero che depone le uova, possiede speroni velenosi (solo il maschio), è dotato di un sistema elettrorecettivo per localizzare le prede e sembra un patchwork realizzato con parti di altri animali, ha sempre suscitato enorme curiosità. Tanto qui, quanto in Australia dove vive.
Racconta una leggenda aborigena che questo strano animale lungo una cinquantina di centimetri sia frutto della violenza perpetrata da un ratto d’acqua su una giovane anatra che non fu cauta sebbene i genitori l’avessero messa in guardia.
Oggi dalle nostre parti qualcuno racconterebbe la storia dicendo che l’anatra se l’è cercata, mentre il roditore ha seguito il suo istinto di macho. Questo, però, è un altro e più triste discorso.
Fatto sta che i figli nati da quello stupro possedevano il becco della madre, mentre dal padre hanno ereditato il numero di zampe e il mantello peloso.
Dal punto di vista scientifico l’Ornitorinco è stato a lungo un rebus e forse lo è tuttora anche sotto il profilo genetico: il maschio possiede cinque cromosomi sessuali X e altrettanti Y, la femmina dieci X. Tanta roba.
Uno dei primi europei a cimentarsi con questa strana creatura fu il biologo inglese George Kearsley Shaw che nel 1799 ricevette dall’Australia un Ornitorinco imbalsamato.
In un primo tempo Shaw, curatore del Dipartimento di Storia Naturale del British Museum, pensò ad uno scherzo. Sospettava di trovarsi di fronte a un reperto realizzato assemblando pezzi provenienti da varie specie. Del resto era la prima volta che a Londra si vedeva un animale con zampe e becco d’anatra, pelliccia simil-lontra e coda da castoro. Era il periodo delle wunderkammer e artefatti del genere andavano di moda.
Shaw, tuttavia, non era uno sprovveduto e, dopo aver analizzato il reperto in cerca di eventuali punti di sutura, concluse correttamente che quell’incredibile mammifero esistesse per davvero. Così lo descrisse per primo in “The Naturalist’s Miscellany” (1799) con l’aiuto dell’illustratore Frederick Polydore Nodder, assegnandogli il nome scientifico di Platypus anatinus. Letteralmente “Piedi piatti come un’anatra”.
Platypus, tuttavia, era già il nome attribuito alcuni anni prima a un genere di Coleotteri e quindi non poteva essere accettato dalla comunità scientifica.
L’anno successivo questa specie venne perciò ribattezzata dal naturalista tedesco Johann Friedrich Blumenbach come Ornithorhynchus anatinus (“Muso da uccello come un’anatra”), nome che resiste tuttora.
Oggi l’Ornitorinco, pur non passandosela benissimo (secondo la IUCN il suo status di conservazione è “Prossimo alla minaccia“), sopravvive. Shaw e Blumenbach non ci sono più.
Piaccia o meno, è il diverso destino delle specie rispetto a quello, più breve ed illusorio, degli individui.

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NELL’IMMAGINE: Ornitorinco (illustrazione di Frederick Polydore Nodder, 1808, Pubblico Dominio. Fonte: Wikimedia Commons).